domenica 28 novembre 2010

LA BELLEZZA DELL'INCONTRO

CONSIDERAZIONI SULL'INCONTRO CON ANDREA GARDINI

IMPARARE, ASCOLTARE, COLTIVARE LE NOSTRE CONOSCENZE, FA PARTE DELLA VITA INTELLETTUALE DI OGNI PERSONA .
COME, QUANDO, PERCHE’ ?
SE AMO CONOSCERE E TROVO PERSONA CHE AMA RACCONTARE HO TROVATO CIBO PER LA MIA MENTE.
L’ UNIVERSITA' DELLE PERSONE  SI E’ DATA QUESTO ALTO COMPITO  E IL SUO CAMMINO E’ IRTO DI OSTACOLI, COME OGNI SERIO CAMBIAMENTO.
LE LEZIONI SONO BELLISSIME PER L’ALTO CONTENUTO E SOPRA OGNI COSA PER L’ATMOSFERA CHE SI CREA.
L’INCANTO DI ASCOLTARE ANDREA GARDINI E’ STATO UN ESEMPIO DI ALTO LIVELLO, DI COSA SIGNIFICHI TRASMETTERE ESPERIENZA E SAPERE NEL MODO PIU’ SEMPLICE.
LA GRADEVOLEZZA DELLA PERSONA CON LA SUA MODESTIA E L’AMORE PER LA SUA PROFESSIONE, HA CREATO UNA GIORNATA SERENA, MOLTO, MOLTO PIACEVOLE.
IL GIOCO DELL’APPRENDERE E’ INIZIATO E CI HA DATO UN  BELL’UMORE: LA  LEZIONE ERA SU “CONOSCENZA DELLA VALUTAZIONE”, FREDDA PAROLA, E’ DIVENTATA UNA BELLA ESPERIENZA DI VITA.
LA POTENZA DELLA PAROLA GRADEVOLE E INTELLIGENTE TI ENTRA DENTRO E RESTERA’ PER SEMPRE.
UNA BUONA LEZIONE VA OLTRE I CONTENUTI E DIVENTA VERO INSEGNAMENTO DI VITA CHE AIUTA A MIGLIORARE NOI  STESSI  E  CI  AIUTA  A IMPARARE A CONVIVERE BENE.   

Sandra Sacchetti  

   
        

martedì 26 ottobre 2010

La comunicazione come fattore determinante per la costituzione del gruppo: dal grooming al "cicciripicci"

Secondo giorno di lezione del IV semestre UP; il titolo è "LA SCUOLA DI CONDUTTORI DI GRUPPO DI VOGHERA" ed il docente è Flavio Montanari, pedagogo, formatore, docente di didattica all'Università degli Studi di Bologna.
Durante la prima parte della giornata Flavio ci parla del suo lavoro di pedagogo e conduttore di gruppi specializzato in giochi. Forma, in particolare, adolescenti, giovani universitari ed adulti. Ha fondato una scuola di formazione per promotori/conduttori di gruppi rispondendo ad un’esigenza prima interna e poi esterna.
Partendo dal T-Group, all’inizio degli anni 90' inizia a sperimentare con i laboratori LARA una nuova struttura di gruppo, un nuovo punto di partenza dal quale cominciare a lavorare. 
Il gruppo LARA è una struttura di comunicazione e l’ideale è che sia composto al massimo da 15 persone.
Flavio ci lancia una sfida che raccogliamo con curiosità: LARA, rispetto al gruppo, è una scoperta oppure un’invenzione?
Il percorso che ha portato alla sperimentazione del laboratorio LARA è basato sullo studio della comunicazione; Flavio ne fa una sintesi fornendoci i riferimenti più importanti.

Il primo è la “Pragmatica della comunicazione umana” di P. Watzlawick  - un testo del 1962,  ma sempre attuale. 
La comunicazione si compone:
per il 50% occhi
per il 30% corpo
per il 20% parole
Nella comunicazione, infatti, l’emittente emana circa 150 messaggi significativi alla volta che arrivano al destinatario che li decodifica per comprendere il messaggio.
Nei gruppi di lavoro viene erroneamente data molta importanza alle parole che si pensa possano influenzare in modo determinante la comunicazione.

Il secondo riferimento è alle teorie di Bateson: la prima regola dalle comunicazione è “la mappa non è il territorio”, ognuno comunica facendo riferimento alla propria mappa – cioè al proprio modo di vedere la realtà; esempio chiarificatore lo si può trovare nel comportamento dei bambini i quali i bambini - .ad es. - quando dicono bugie fanno riferimento ad una mappa rassicurante in cui le bugie sono la verità che rassicura. 
La comunicazione è composta da una parte di contenuto ed una parte di relazione. La parte di relazione è quella che arriva prima.

Terzo riferimento a Jung ed agli Archetipi Junghiani (coscienza collettiva) – che secondo alcuni non sono fissi ma hanno avuto un’evoluzione.
Per condurre i gruppi bisogna capire gli aspetti pratici della comunicazione.
Su questo argomento il  libro: Gazzaniga M. S. - Human - Ed. Raffaello Cortina

Quarto  riferimento è a Freud secondo il quale ci sono dei mestieri che è molto difficile insegnare:
quello della formazione
quello dei genitori
quello della cura medica
In queste categorie rientra  la formazione del gruppo LARA.
Un libro su questo argomento è "Le ragioni del successo" – G.V. Caprara ed. Il Mulino.


Quinto riferimento è a Kurt Lewin.
L’uomo secondo la " teoria del campo" di Kurt Lewin si comporta in funzione di fattori interdipendenti costituiti dalla sua personalità e dal'ambiente  che lo circonda, l'autore postulò l'esistenza di uno stato di equilibrio fra persona e il suo ambiente, quando questo equilibrio è turbato, si sviluppa una tensione (motivazione/bisogno) che porta a uno spostamento mirante a ristabilire l'equilibrio. Nel campo agiscono forze che determinano l'avvicinamento a regioni con valenza positiva e regioni con valenza negativa. come l'individuo e il suo ambiente formano un campo psicologico, così il gruppo e il suo ambiente formano un campo sociale. Per Lewin, il gruppo è un fenomeno, non una somma di fenomeni rappresentati dall'agire e dal pensare dei suoi membri; il gruppo produce più della somma dei singoli.


La comprensione di un gruppo passa attraverso l'analisi  del rapporto tra stimoli e difese,  “meno difese,  più apprendimento”; dove uno dei problemi che mostrano i gruppi è infatti la presenza di un livello di difese molto alto, condizione che non permette l'attuarsi del cambiamento. Uno dei compiti del conduttore risulta quindi quello di consentire più velocemente, l'abbassamento delle difese, fungendo in tal senso da catalizzatore del processo.    
A difese alte occorre dare stimoli bassi. Per esempio entrando in un gruppo non bisogna fornire nelle prime ore stimoli molto approfonditi, non servirebbero. Il conduttore potrà  abbassare le difese solo fornendo pochi stimoli. 
Ma quali sono le principali difese che il singolo e il gruppo mette in atto?
La proiezione è una di queste. Tale meccanismo è uno dei più importanti dell'essere umano. Proiettare significa produrre immagini su uno sfondo neutro, immagini che appaiono assai realistiche. nel meccanismo proiettivo, l'individuo proietta esternamente a sè: fatti, sentimenti, emozioni, reazioni. L'adolescente, ad esempio, a volte tende a proiettare il proprio senso di inadeguatezza sugli adulti di riferimento (insegnanti, genitori) sottolineando aspetti relazionali discutibili, in tal modo influenzano negativamente la comunicazione.
Sono queste scorciatoie che costituiscono il principale problema della comunicazione; utilizzarle non è ecologico e rovina l’ambiente. Flavio ci  racconta di un suo viaggio in Venezuela con i figli e delle tante scorciatoie segnalate in un percorso di trekking; alla fine della strada c’era, però,il cartello che diceva che le scorciatoie rovinano l’ambiente.
Il gruppo non ha alcun valore; né buono né cattivo.

Nel libro di G.V. Caprara - citato precedentemente - c’è una formula matematica che semplifica questo concetto.
E’ molto importante ridurre le difese del gruppo. Come fare?
E’ molto positivo aprire gli incontri con il gruppo chiedendo ai componenti di descrivere/leggere il clima che c’è: spesso lo sanno ma non sempre riescono a descriverlo con le parole. 
Libro consigliato “In un batter di ciglia” di M. Gladwell.

La comunicazione può essere di 3 tipi:
duale – con famiglia, amici, partner
plurale – con  gruppo transazione con persone non scelte
superficiale – utilizzata negli incontri occasionali

Nella  comunicazione plurale bisogna guardare negli occhi tutti, comunicare con tutti.
In natura non esistono gruppi, esistono, invece, stormi, mandrie, ecc.; il gruppo c’è quando decidiamo di comunicare con chi non abbiamo scelto. Abituarsi alla diversità: è esattamente il contrario dell’amicizia. Nel gruppo si comunica riconoscendo i punti di forza ed i punti di debolezza, bisogna lasciare da parte le simpatie e le antipatie. 
Il pettegolezzo, inteso come parlare del superfluo è fondamentale nella comunicazione del gruppo.
Si tratta, infatti,  dell’evoluzione del grooming dei primati; i primati si levavano le pulci per comunicare, si trattava di lavaggi reciproci, quando i gruppi hanno cominciato ad ingrandirsi ed il tempo per fare il grooming non c’era per tutti, è cominciato il chiacchiericcio  - che Flavio chiama Cicciripicci - e  da questo si è arrivati al pettegolezzo. 
La comunicazione attraverso il pettegolezzo ci permette di sviluppare l’abilità più importante per la sopravvivenza: distinguere gli onesti (affidabili)  dai disonesti (non affidabili) e la memoria ci permette di ricordare (per approfondire l’evoluzione delle comunicazione nei primati i libri di J. Diamond.)

Il sapiens scopre il gruppo 40.000 anni fa. La prima abilità ricercata nel gruppo era la forza, in realtà per misurare la forza del gruppo si moltiplicava una abilità ( la forza appunto) per il numero dei componenti. Si è poi visto che scegliendo abilità diverse si potevano raggiungere più obiettivi.

Il conduttore non deve creare una continuità nella relazione; il gruppo deve essere indipendente. L’obiettivo finale è che gli individui sappiano incrociare le risorse interne con le opportunità esterne.
Noi siamo obnubilati – annebbiati – per natura, il gruppo serve perché attraverso la comunicazione  tra componenti si possono dire le cose che non vanno l’un l’altro e ci si deve lavorare sopra.  Va  inoltre detto che l’immagine di noi che ci rinvia il gruppo, quanto più vicina è all’immagine che abbiamo noi di noi stessi, tanto più ha un impatto positivo sulla nostra autostima.

Il gruppo è una struttura di comunicazione consapevole: farsi conoscere e conoscere gli altri.
Il conflitto, di conseguenza, va sempre bene; è infatti uno dei tre modi per eliminare le scorie della comunicazione – gli altri due sono l’ironia e l’auto ironia.
Bisogna però distinguere il conflitto dalla guerriglia; la differenza è che il primo ha un inizio ed una fine e che dopo una pausa si rinegoziano le regole della relazione.
(Libro di Flavio Montanari “Dal branco al gruppo” ed.La Meridiana)

La lezione del pomeriggio comincia con una domanda:
COSA NON E’ IL GRUPPO?

Gli insiemi di persone vanno definiti in modo specifico:
organizzazione - ruoli, obiettivi
comunità - valori
squadra - abilità
compagnia -  tempo libero
famiglia - parentela
branco - appartenenza emotiva naturale

Flavio ha adattato i 5  livelli di socialità del Professore Spaltro alla comunicazione.
L’utilizzo dei livelli è come l’utilizzo delle scarpe, ogni scarpa per un’occasione e non bisogna sbagliare perché si rischia di essere inadeguati al contesto.
Se si rimane sempre e solo ad un livello di socialità, per esempio quello della coppia  - che è rassicurate - si rischia di essere infantili.
Ai livelli di socialità Flavio ha abbinato un elemento come segue:
Coppia – fuoco
Gruppo – acqua
Istituzione – terra
Bandiere appartenenza – cielo
Virtuale, Web – aria

La lezione si conclude e Flavio lascia spazio alle domande; approfondendo il discorso delle scorciatoie, quello del cicciripicci  ed arrivando all’egoismo lungimirante.
Partendo dalle teorie di  Richard Dawkins, nel famoso “Il gene egoista”, Flavio ci spiega che i primati si dividevano in due gruppi, gli altruisti che facevano grooming a tutti e gli egoisti che ricevevano grooming e non lo ricambiavano. I primi rischiavano l’estinzione i secondi invece si riproducevano a dismisura. Nasce ad un certo punto il gruppo dei cosiddetti "permalosi" - che Flavio chiama "egoisti lungimiranti" – che cominciano a selezionare i destinatari del grooming scegliendo solo coloro che lo ricambiavano.
Dando un punteggio ai gruppi sia relativo al comportamento che alla pedagogia dell’azione risulta che:

altruisti hanno – 2 come comportamento (poiché non si preservano) e -2 come pedagogia = - 4 
gli egoisti hanno +2 come comportamento e -2 come pedagogia = 0
gli egoisti lungimiranti hanno +2 come comportamento e +2 come pedagogia = +4

E’ l'egoista lungimirante a non farsi trovare lì dove gli altri si aspettano che lui sia.
Con quest’ultimo interessante spunto di riflessione il  livello di obnubilazione della classe è diventato altissimo. La lezione è finita e  torniamo a casa  stanchi ma contenti; molte delle nostre convinzioni cominciano a trasformarsi in dubbi.
Grazie Flavio!

Daniela Salvatore


giovedì 21 ottobre 2010

La Competenza come Valore aggiunto in azienda.

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Venerdì 15 ottobre 2010. Primo giorno di lezione del 4° semestre dell’ UP.
Questo è il semestre dedicato al benessere dei team, dei gruppi e delle organizzazioni. Eccoci allora nella bellissima sede della EmilBanca di Bologna in Via dei Trattati Comunitari. Ci accoglie la presidente dell’UP Isabella Covili in un’aula molto funzionale al terzo piano del nuovissimo edificio. Subito veniamo informati di alcune novità riguardanti l’organizzazione della UP. Prima fra tutte l’ufficializzazione del nuovo ruolo di Greta che da ora diventa referente didattica della UP. Seconda novità la possibilità per ogni studente assente di poter far partecipare una persona a sua scelta in sua sostituzione. Ultima novità l’istituzione di un Responsabile di Lezione per ogni giornata che lascerà un suo articolo sulla lezione. Tutte azioni che denotano una sempre maggiore attenzione e cura allo sviluppo e visibilità della nostra Università. A questo punto come primo Resp. di lezione non mi resta che illustrare la prima giornata di questo 4 grado. La docenza è stata tenuta da un relatore come sempre di alto livello: Giampietro Capelli. Capelli attualmente è Direttore delle Risorse Umane del Mercatone Uno, un grosso gruppo  che commercializza principalmente arredamenti d’interni e articoli per la casa ma non solo, ultimamente ha sviluppato con grande successo un settore dedicato all’oro. Sin dai primi minuti Capelli instaura un rapporto molto confidenziale con tutti gli studenti ricordando i bei momenti trascorsi insieme durante il convegno sul Bellessere tenuto a Cervia. La lezione inizia con un “giro” di presentazione dei partecipanti che diventa parte integrante della lezione. Nascono subito infatti spunti di riflessione sull’importanza di una gestione delle risorse umane attenta ai bisogni delle persone. Capelli afferma subito che naturalmente le aziende esistono per fare profitto ma questo profitto è generato dal Valore aggiunto... Ma cosa è questo valore aggiunto? Quali sono quelle “cose” che hanno un alto valore aggiunto? Prima fra tutte capire i BISOGNI dei clienti. Capire questo è importante, ci può differenziare dalla concorrenza e crea valore in azienda. Secondo, questo bisogno va SODDISFATTO perché altrimenti resta la insoddisfatto e non crea nessun valore aggiunto. Terzo, ma di importanza fondamentale, avere un’adeguata CAPACITA’ FINANZIARIA. Un’organizzazione non può prescindere da questo. Ne va dell’esistenza stessa dell’azienda. Nessuna organizzazione può sopravvivere senza una corretta gestione finanziaria. Quarta ed ultima ma non per questo di minore importanza la CREAZIONE DI COMPETENZE.  Le risorse umane presenti in azienda possono e devono sviluppare competenze che danno un valore aggiunto. Ma chi in azienda ha il dovere di porre attenzione a questo valore aggiunto? La risposta sta nel Manager, che a differenza dell’imprenditore non ha un semplice sogno da realizzare... Il manager deve fare attenzione al valore aggiunto. Manager e imprenditore diventano quindi complementari, il primo sensibile alla creazione di valore aggiunto e quindi più pragmatico, il secondo più “sognatore” che lavora più “di pancia” che “di testa”.

 Nascono subito i primi commenti sulla difficoltà del creare competenze in azienda per le varie resistenze che spesso ci trova ad affrontare. Davanti ad un apparente conformismo ci troviamo in situazioni di palese non condivisione delle idee proposte dal management. Sorge immediatamente spontanea la domanda:  “Ma come si fa a motivare le persone in azienda?” Capelli allora ci illustra un suo metodo utilizzato per motivare le persone. Scartando subito l’aumento di denaro che ha effetti a brevissimo termine (15 gg. in media) illustra l’importanza delle riunioni mensili con i suoi collaboratori. Riunioni  nelle quali sistematicamente si cerca di capire insieme gli errori commessi durante il mese appena trascorso, si vede di anticipare eventuali problematiche che si possono verificare in futuro, si pianifica un piano utilizzando il metodo PDCA (Plan-Do-Check-Act) e infine si portano avanti i progetti iniziati. Fondamentale quindi dopo la pianificazione il controllo e l’azione. 

Torniamo sul discorso delle competenze evidenziando l’importanza anche ai fini della motivazione di una IMPIEGABILITA’ delle persone che lavorano in azienda in mestieri ad Alto Valore Aggiunto. L’esempio di un’archivista disabile che è stata impiegata da un lavoro a basso VA ad uno ad alto VA ci chiarisce ulteriormente l’importanza di far crescere le competenze delle persone che lavorano all’interno dell’organizzazione. Oltre che incrementare la motivazione questo ci permette anche di scoprire nuovi talenti e fuoriclasse che semmai abbiamo all’interno dell’organizzazione senza esserne coscienti. Ecco che allora affrontiamo il problema dei NON talenti... Capelli allora ci espone in un semplice diagramma le varie tipologie di collaboratori secondo il suo punto di vista. Un punto di vista molto simpatico che ci aiuta in un clima molto rilassato a parlare di argomenti non sempre piacevolissimi come per esempio la necessità alcune volte di licenziare alcune persone. Ripropongo il diagramma presentatoci da Capelli. In azienda possiamo considerare queste tipologie di persone: 


    TALENTI POCO SERI                     TALENTI SERI

          BROCCO FANNULLONE                      BROCCO LAVORATORE


  Questo semplice diagramma scatena un ricco scambio di commenti  tra tutti i partecipanti che riconoscono in ogni figura le tipologie di lavoratori presenti in azienda. Subito veniamo incuriositi dal “brocco fannullone” e si pensa allora come un’azienda deve agire davanti a questi che arrecano indubbiamente un danno all’organizzazione. Tali tipologie se non opportunamente allontanate dalla realtà aziendale rischiano infatti di demotivare l’intero gruppo.  E’ consigliato pertanto che il manager parli con tali figure in maniera chiara evidenziando le negatività riscontrate e se necessario provveda ad una loro espulsione dall’organizzazione. Altrettanto dannoso può risultare il Talento poco serio. Se da un lato ha notevoli capacità nello svolgimento del proprio lavoro manca di quelle caratteristiche fondamentali quali la serietà e l’onesta. Anche in questo caso spesso è opportuno un loro allontanamento dall’azienda.

 Tutti questi discorsi ci portano poi a discutere sulla consapevolezza o meno che ciascun lavoratore ha delle proprie capacità e incapacità. Si evidenzia principalmente la problematica legata a coloro che risultano inconsapevoli delle proprie incapacità. Anche questa è una situazione nella quale Capelli consiglia il dialogo come mezzo per affrontare il problema. In chiusura si delineano le caratteristiche che dovrebbe avere un leader. Prima fra tutte l’AUTOREVOLEZZA. Seconda l’ATTENZIONE ALLE PERSONE e da ultimo il possesso di PRINCIPI E VALORI. Viene individuato come una persona seria con sani principi e valori che svolge il suo lavoro in maniera professionale dando il giusto risalto alle Persone, risorsa fondamentale di un’organizzazione. Discutendo di tali caratteristiche si chiede se è necessario che un Leader sia pronto a risolvere i problemi che il resto del gruppo non riesce a risolvere poiché in alcune situazioni non ci si può permettere nemmeno un errore. Per alcuni questo è essenziale per altri è giusto che le persone possano sbagliare e debbano loro trovare la miglior soluzione per risolverlo. Il relatore a questo punto precisa che l’errore va capito e indagato. La lezione si conclude con una frase tratta da un discorso del Presidente del Mercatone Uno, Romano Cenni che dice:  
"...ho costruito la mia azienda perché potesse sempre essere il punto di riferimento per gli acquisti di qualità a prezzi convenienti e anche adesso che siamo diventati grandi continuo ad essere guidato da un solo pensiero: essere vicino alle famiglie italiane."
Un bell’esempio di professionalità italiana che ci rende orgogliosi e ci insegna l’importanza di quel valore aggiunto, a volte intangibile, legato alla “cura” delle persone all’interno di un’organizzazione.

   Massimo Seruis  






lunedì 4 ottobre 2010

T Group Fognano 2010


 Terminata l'esperienza del t-group ogni partecipante ha lasciato un pensiero su ciò che avrebbe portato via con sé e su ciò che avrebbe lasciato: ecco la raccolta delle frasi. Le riportiamo perché ognuno possa rileggere le proprie e quelle degli altri, a distanza di tempo, per non dimenticare cosa è scaturito da quei momenti.

-lascio la paura di rischiare
-porto l'umiltà dei grandi
-lascio qui (spero): l'angoscia dell'acuto desiderio di essere accettati nei gruppi e anche in famiglia
-porto la consapevolezza che non decidere è prendere una decisione
-lascio una mia paura che mi fa perdere opportunità di sperimentarmi
-mi porto a casa il desiderio di concludere, di raggiungere, di approdare: Itaca non è la fine del viaggio ma un nuovo inizio
-spero di lasciare agli altri che l'accettazione della diversità è fondamentale
-prendo un po' di leggerezza e di voglia di vivere in allegria
-lascio il dover per forza ottenere un risultato
-porto con me tanta forza di fare sempre di più quello che fa star bene me
-spero di lasciare qui e tendenzialmente per sempre l’idea che le cose vengano solo con la fretta
-porto con me: un po' di leggerezza, energia, la consapevolezza della diversità e l'accettazione di questa, autoefficacia, il ricordo del battito del cuore dei membri del mio gruppo, il silenzio
mi porto via: l'impegno di imparare ad accettare le diversità delle persone senza cercare di cambiare o senza per forza dover copiare qualche cosa
-lascio qua l’ansia e l’incapacita’ di muovermi
-porto il piacere di essermi pentita "dentro"
-porto il voler trovar sempre una coesione nelle idee ed emozioni delle persone che mi stanno vicine
-porto il coraggio di rischiare
-lascio qui la debolezza
-porto la consapevolezza che il contatto è difficile ma non impossibile e che il tempo mi è necessario per selezionare ed aprire
-lascio non saper dire di no , la paura di rifarlo
-porto la libertà di uscire ed entrare dal/nel gruppo rispettando i miei bisogni, i miei desideri, le mie necessità, il mio tempo, il mio spazio
-lascio qui la bella idea che le conclusioni sono la parte piu’ effimera della ricerca:
le mie utopie ludiche e rinvianti
-porto l'emozione che segna l'apprendimento: preoccuparsi di riconoscere le fasi di evoluzione durante il progetto del gruppo
-porto via la speranza che questa faticosa esperienza mi abbia migliorata nei rapporti con gli altri
-porto con me consapevolezza e minimo un Kg in più
-lascio la paura delle mie emozioni :
anche questa volta sono state potenti e hanno sconfinato.
anche questa volta qualcuno ha cercato di proteggermi.
non sono piu’ motivo di paura ma di connessione.
-porto con me i gesti che mi hanno fatto sentire l’appartenenza.
-lascio un pezzetto delle mie intemperanze
-porto con me le risate mie, leggere, aperte, come non le facevo da tempo. Ero qui, e solo qui, e il gruppo mi ha preso dentro e mi ha protetto dal dolore di fuori.
-porto con me dipendenza, contro-dipendenza, interdipendenza, modulazione dello spazio, contatto fisico appartenenza al gruppo/indipendenza, leadership, membership, ….possibilita’ di decisione delle aspettative e suo utilizzo, relazione con la propria aggressivita’


    giovedì 9 settembre 2010

    Riflessioni: il territorio e le persone

    Caro Massimo,
    ti ho parlato di uno scrittore sardo che io apprezzo molto, Marcello Fois.
    Ho appena terminato un suo breve romanzo e vorrei riportarti un brano tratto da questo, che penso descriva al meglio una caratteristica della tua Gente.

    Vuole anche essere uno stimolo all’Università delle Persone perché, nel prossimo semestre, dedicato al territorio, si possa prevedere un programma che faccia scaturire anche questi aspetti dei diversi territori, perché a territori diversi corrisponde una diversità delle Persone che, se portata alla luce, non può che migliorarci.
    Spero anche sia un semestre itinerante perché i territori, oltre che parlarne, vanno “sentiti”; vissute sulla pelle, le terre ci cambiano.

    “Non sorprenda che da queste parti la parola conti ancora qualcosa. Quella che si dà. Quella che si toglie. Da queste parti dire qualcosa significa anche farla.
    Perché la scrittura poggia sulla carta, la parola sullo sguardo. La scrittura necessita di sacerdoti e archivi e apparati; la parola conta sulla memoria.
    Dalle nostre parti ha ragione chi usa le parole giuste, non chi le grida più forte.
    Le parole hanno costruito ogni singolo meccanismo della nostra società: noi con le nostre parole abbiamo costruito civiltà di pietra levigata e codici universali. Non a parole. La scrittura è arrivata dopo dalle stive delle navi fenice o romane. Ed era scandalosa. Unica e scandalosa.”
    Marcello Fois – Sangue dal Cielo.

    Marisa Carletti

    giovedì 19 agosto 2010

    Il passaggio generazionale in azienda


    Alcune impressioni sull'intervento di Arianna Bagarini

    di Marisa Carletti

    15 luglio 2010

    Se pensiamo al passaggio generazionale pensiamo al nepotismo e ne pensiamo in senso negativo.
    L’immagine che si crea dietro i nostri occhi è quella del padre padrone che ha faticato e dominato una vita intera e che ha tirato su la sua Azienda. Dopo anni vuole continuare a vivere per sempre nella sua creatura attraverso i figli, i nipoti, attraverso chi, nella sua famiglia, porta addosso la sua ombra. L’immagine è quella di figli o nipoti che spesso distruggono ciò che i padri hanno creato.

    Arianna Bagarini ci ha disegnato un quadro completamente diverso, fatto di pennellate luminose, a tinte forti, un quadro in stile Impressionismo, dove ogni segno sembra caotico e senza contorni, e solo a lavoro finito e guardando da una certa distanza, ne cogli l’armonia e la bellezza.
    Arianna ci ha parlato di passaggio generazionale come sviluppo, come senso del futuro, come speranza.

    Abbiamo spesso pensato all’Azienda dei padri come ad una realtà stabile, certa, ben definita. Arianna ha spezzato anche questo preconcetto. Ci ha fatto analizzare il mondo in cui oggi lavoriamo, in cui le regole dei padri non sono più adeguate, perché la realtà è sfuggente e complessa, perché le regole appunto, per vivere in questa realtà, sono diventate troppe e ingestibili. Chi tenta di essere all’altezza della situazione si trova spesso a reagire con comportamenti compulsivi o diventa vittima della depressione. In questa quotidianità i punti di riferimento vengono a mancare, il padre padrone non è più in grado di gestire questo mondo “liquido”, è inadeguato, non può più garantire che “se obbedisci sarai al sicuro”.
    Per funzionare il sistema ha bisogno di persone che sanno trovare equilibri parziali in modo autonomo, sanno individuare e selezionare le regole utili, e sanno andare oltre, se serve. Per funzionare il sistema ha bisogno di una leadership diffusa; ha bisogno di un leader che pensi un nuovo modello di ambiente lavorativo, che rimetta in discussione le gerarchie, i rapporti, le regole, le motivazioni, i ruoli. Un leader che crei nuovi concetti di lavoro più che adeguare e modificare i vecchi.
    Arianna ha fissato punti di riferimento in questa realtà liquida di passaggio generazionale, i punti sui quali il cambiamento fa perno:
    1) Il tempo.
    Il tempo veloce, sfuggente, il tempo che non divide più il lavoro e il non-lavoro; il tempo che non determina più il “troppo giovane” o il “troppo vecchio”; il tempo che non rispetta più orari canonici; diventa elastico e circolare, privato e condiviso, intollerante a scadenze fisse. Un tempo da reinventare.
    2) Il legame estetico e il desiderio.
    Qui si gioca il futuro, in questo superamento dell’etica, dello stabilito, del convenuto; per avventurarsi nel campo dell’estetica, del desiderio e della bellezza. Non più desiderio e bellezza come utopie mancate sognate e irraggiungibili, ma come progetto che unisce, come accensione e propulsione.
    3) L’ignoto e l’immateriale.
    Fino ad oggi l’ignoto e l’immateriale avevano l’equivalenza dell’inesistenza. Eppure la loro entità assume ogni giorno una consistenza sempre maggiore nell’ambiente di lavoro. La si sente nel “valore” delle persone, nel potere del “senso di appartenenza”, nella forza della “motivazione”, nel peso economico dell’ “informazione” e della “comunicazione”.
    Nello stesso tempo questa entità è così lontana dalla nostra cultura da non essere ri-conosciuta, da non essere definita, è una “non cosa”.
    Abbiamo bisogno di creare legami con l’ignoto. Dobbiamo abituarci a rapportarci e lavorare con le “non cose” e quindi, al più presto, dobbiamo definirle, inventare parole nuove che attribuiscano loro identità e valore.

    Ecco che il quadro di Arianna appare sempre più definito, luminoso.
    In una società che giudica i giovani senza principi e senza futuro, il suo quadro ci mostra al contrario persone in grado di entrare nel mondo del lavoro creando connessioni, in grado di apportare ricchezza attraverso l’immaginazione, l’affettività e l’attenzione. In grado di pensare e creare un’Azienda Plurale.
    Alla fine il concetto negativo di nepotismo viene a cadere.
    Il padre padrone non passa più la staffetta al figlio clone. Oggi non ci sono più staffette da passare. In questa assenza di eredità il valore del vissuto e la ricchezza dell’immateriale possono creare un mondo nuovo in cui lavorare. Un mondo più sostenibile, più rispettoso, in cui le disuguaglianze vengono governate.
    E se è vero che un’Azienda è un soggetto sociale allora il passaggio generazionale si traduce a livello sociale nel passaggio dalla vergogna all’orgoglio.


    Ringrazio la Professoressa Arianna Bagarini per la sua splendida lezione all’Università delle Persone e per la bella esperienza che mi ha donato.


    Marisa